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brano
 
Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), VI, 17
 
originale
 
17. Tunc Psyche vel maxime sensit ultimas fortunas suas et velamento reiecto ad promptum exitium sese compelli manifeste comperit. Quidni? quae suis pedibus ultro ad Tartarum manesque commeare cogeretur. Nec cunctata divitius pergit ad quampiam turrim praealtam, indidem sese datura praecipitem: sic enim rebatur ad inferos recte atque pulcherrime se posse descendere. Sed turris prorumpit in vocem subitam et: "Quid te" inquit "praecipitio, misella, quaeris extinguere? Quidque iam novissimo periculo laborique isto temere succumbis? Nam si spiritus corpore tuo semel fuerit seiugatus, ibis quidem profecto ad imum Tartarum, sed inde nullo pacto redire poteris. Mihi ausculta.
 
traduzione
 
?Allora Psiche comprese che per lei era davvero finita e si rese chiaramente conto che ormai la si voleva mandare a morte sicura. C'era, infatti, da dubitarne dal momento che la si costringeva a recarsi con i suoi piedi al Tartaro, nel mondo dei morti? Senza indugiare oltre sal? allora su una altissima torre per gettarsi di lass? a capofitto pensando che questo fosse il modo migliore e pi? spedito per giungere agli Inferi. Ma la torre improvvisamente parl?: 'Perch?, disgraziata, vuoi ucciderti, buttandoti gi?? Perch? dinnanzi a quest'ultimo rischio, a quest'ultima prova vuoi darti subito per vinta? Una volta che il tuo spirito sar? separato dal corpo andrai, s?, in fondo al Tartaro, certamente, ma di laggi? in alcun modo potrai tornare.
 

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